COMMISSIONE REGIONALE PER LA TUTELA AMBIENTE MONTANO
Domenica 26 ottobre 2025
SENTIERO DEI LIMONI: tra MAIORI e MINORI
in collaborazione con la Pro Loco di Minori
a cura degli operatori TAM
Difficoltà: T

Direttori: Elvira Cherubini – ORTAM – Sez. Castellammare di Stabia 339 4063825
Giuseppe Fortunato – ORTAM – Sez. Cava de’ Tirreni 333 7949105
Michele Ruocco – PRO LOCO MINORI
Tipologia escursione: AR – Lunghezza: 5 km
Dislivello: 150 m
Quota massima: 458 m
Durata: 5 ore soste escluse
Equipaggiamento: Scarpe da trekking, bastoncini telescopici, giacca a vento, mantella impermeabile, maglia di pile, guanti, cappello, occhiali da sole, crema protezione UV, ricambio da lasciare in auto. Colazione, Acqua al sacco; acqua da portare, almeno 1,5 litri. Lungo il percorso ci sono punti acqua e attività commerciali.
Trasporti: Auto proprie
Appuntamento ore 8:30 davanti al Comune di Maiori
Possibilità di usufruire del parcheggio: TORRIONE Sito a Maiori in via NUOVA PROVINCIALE CHIUNZI 1 – per prenotazione: cell. 338.5326263 al costo di € 15 a macchina – specificare uscita CAI – SENTIERO DEI LIMONI
Iscrizioni entro venerdì 24 ottobre ore 20:30.
Descrizione del percorso: ll Sentiero dei Limoni della Costiera Amalfitana è considerato uno dei più bei sentieri d’Italia.
Quando nacque, questa via era il solo collegamento fra i due borghi di Minori e Maiori; la strada alternativa, infatti, era rappresentata dal mare.
Ad oggi, le due cittadelle sono connesse dalla moderna statale amalfitana, ma il Sentiero dei Limoni mantiene il suo fascino storico e naturalistico.
Questo sentiero a gradini attraversa alcune delle più note e tipiche zone amalfitane, tra cui la coltivazione dello sfusato amalfitano.
Lo sfusato è un limone caratteristico del luogo; questi agrumi, oltre a dare il nome alla passeggiata, sono noti in tutto il mondo per la loro forma, il profumo e lo squisito sapore.
Il percorso attraversa il piccolo villaggio di Torre e prosegue lungo il costone montuoso che separa Maiori e Minori.
Si tratta di una passeggiata piuttosto agevole, adatta anche agli inesperti ed ai bambini, che costeggia uno dei tratti più spettacolari della costiera.
La lunghezza del sentiero è pari a 3 km e la durata del percorso è di circa 2 ore.
L’itinerario presenta anche alcune interessanti variazioni e deviazioni: seguendo la lunga scalinata, è possibile giungere all’antico Convento di San Nicola ed alla spettacolare città di Ravello. Il limone Costa d’Amalfi, l’agricoltura eroica e i terrazzamenti a salvaguardia del territorio e della biodiversità
La coltivazione del Limone Costa d’Amalfi e i terrazzamenti svolgono un ruolo cruciale nel prevenire i movimenti franosi, le alluvioni e le slavine, nonché nel contrastare la desertificazione e l’erosione del suolo, nel promuovere la biodiversità e nel predisporre adeguate condizioni microclimatiche per l’attività agricola.
Cenni storici
Le prime pennellate di giallo, sul verde e il blu intenso della Costa d’Amalfi, sono visibili fin dall’XI secolo.
In questo periodo appaiono i limoneti, ribattezzati “giardini” per la loro cura e bellezza, utilissimi per salvaguardare il territorio dal dissesto idrogeologico.
Furono gli arabi a insegnare le tecniche di coltivazione, di irrigazione e di costruzione dei terrazzamenti.
La produzione di limoni permetteva inoltre agli amalfitani, popolo di navigatori, di avere sempre a bordo delle navi un’efficace arma contro lo scorbuto, malattia dovuta a carenza di vitamina C. Per gli amalfitani, storicamente famoso popolo di navigatori, era determinante poter disporre sulle proprie navi di scorte di limoni. Già nell’XI secolo, la Repubblica di Amalfi decretò che a bordo delle navi ci fossero sempre provviste di questi frutti.
Dal 1400 inizia un fiorente commercio marittimo di questi eccellenti agrumi da Minori verso numerosi porti italiani ed europei, stimolando la diffusione dei giardini di limoni.
Il Limon Amalphitanus, rinominato poi “sfusato amalfitano”, comincia così la sua inarrestabile ascesa, arrivando a farsi conoscere e apprezzare fino in America.
Il sistema di coltivazione
Il sistema di coltivazione deve essere quello tradizionalmente adottato nella zona, fortemente legato ai peculiari caratteri orografici e pedologici. Le unità colturali tipiche prevalenti sono costituite da terrazzamenti inglobati in muretti di contenimento (macere). I sesti e le distanze di piantagione ed i sistemi di potatura dei limoneti di cui al presente disciplinare sono quelli in uso tradizionale nella zona.
La forma di allevamento è riconducibile ad un vaso libero, detta localmente “cupola”, adattata ad un idoneo sistema di copertura. La tecnica tradizionale di produzione consiste nel coltivare le piante su impalcature di pali di castagno, e/o di altri materiali ecocompatibili con le esigenze di tutela paesaggistica, (di altezza non inferiore a cm 180 al momento della sostituzione), utilizzando coperture di riparo dagli agenti atmosferici avversi e per garantire una scalarità di maturazione dei frutti. La densità d’impianto non dovrà essere superiore a 1200 piante per ettaro. La raccolta va effettuata nel periodo che va dal 1° febbraio al 31 ottobre, in funzione del conseguimento delle caratteristiche e delle particolari richieste del mercato in tale periodo. La raccolta dei frutti dalla pianta deve essere effettuata a mano; va impedito il contatto diretto dei limoni con il terreno.
I limoni raccolti devono presentarsi sani, indenni da attacchi parassitari, come per legge.
L’agricoltura eroica
L’agricoltore eroico è il custode di terra, di cibi unici al mondo e di tradizioni, ma è soprattutto il custode e il manutentore di un bene immateriale di cui beneficiano tutti: la bellezza.
Il paesaggio di luoghi che già la natura ha arricchito senza chiedere nulla in cambio, è ulteriormente impreziosito da donne e uomini che compiono azioni faticose e quasi folli, offrendo agli italiani e ai visitatori di tutto il mondo uno spettacolo gratuito e inimitabile.
Un’agricoltura su costoni di roccia a picco sul mare o in aree montane impervie, spesso non remunerativo, che centinaia di uomini e donne contribuiscono a far vivere senza ricevere alcun sostegno economico.
Le “indennità compensative”, pure previste dalle misure dei Programmi di sviluppo rurale, spesso coprono infatti solo una parte degli svantaggi reali di queste aree, dove oggettivamente le limitazioni poste dalla natura all’esercizio dell’agricoltura sono più forti, al limite dell’impossibilità pura e semplice di operare, se non con mezzi impensabili e con tanto coraggio, così da essere difficile anche solo il volerle ridurre a mere “aree svantaggiate”. Da qui la necessità di un riconoscimento giuridico, che vada oltre i canoni della Pac (politica agricola comune) e che identifichi una ulteriore specificità, quella dell’agricoltura eroica, legata essenzialmente alla conservazione del territorio e di sue specificità particolari.
L’unico riferimento normativo vigente è nel Testo unico del vino, varato nel 2020, che si prende cura della “viticoltura eroica”, tracciandone le caratteristiche legate alle forti pendenze dei terreni, alla quasi totale assenza di meccanizzazione, al valore di presidio ambientale e sociale. Partendo da questi limiti e definendone i valori, Coldiretti Campania lancerà da Procida, Capitale Italiana della Cultura 2022, un Manifesto per l’Agricoltura Eroica, chiedendo un intervento normativo regionale e nazionale che identifichi e tuteli un’attività umana dall’inestimabile valore ambientale, paesaggistico e culturale.
Tale richiesta intende porre le basi per un riconoscimento di straordinarietà ed unicità all’agricoltura eroica e agli agricoltori eroici, non solo come custodi della biodiversità e argine al dissesto idrogeologico, ma tutori di un bene comune universale, che va oltre l’estensione dei terreni e il valore economico dei prodotti.
I terrazzamenti
Il paesaggio della Costiera amalfitana è stato modellato dall’uomo non con la sola costruzione di edifici di pregevole valore artistico, ma soprattutto tramite la realizzazione dei terrazzamenti per cercare di aumentare la superficie coltivabile. Il terreno dei terrazzamenti è mantenuto da mura di contenimento (macere) realizzate con la tecnica “a secco” senza uso di cemento che richiede notevole abilità nel taglio delle pietre, nella posa e nel calcolo delle pendenze.
Visitare le aree terrazzate della Costiera Amalfitana permette di entrare in contatto non solo con un tipo di agricoltura che per le sue difficoltà è definita eroica ma anche con tutto un mondo di saperi che si tramanda immutato da secoli. Le pratiche agricole di oggi, infatti, sono sostanzialmente le stesse del XI-XII secolo e le trasformazioni positive e negative che ancora oggi avvengono sono la dimostrazione di un continuo interscambio tra l’uomo e l’ambiente.
Le tecniche utilizzate per la costruzione delle macere consistono in un patrimonio di regole e di esperienze non codificate e che rischiano di scomparire. Rimangono ancora nella memoria degli ultimi artigiani/contadini che le hanno apprese dai loro maestri e applicate in decenni di lavoro.
TECNICHE E FASI DI REALIZZAZIONE DELLE MACERE
1. Innanzitutto, si scavava il terreno fino a trovare la roccia dura.
2. Contemporaneamente si procedeva a preparare le pietre, che dovevano essere, innanzitutto, tagliate. Questa operazione, detta tozzatura, era effettuata con un martello a punta. Le pietre dovevano essere ridotte nella forma più regolare possibile. Erano scartate le pietre rotonde. Il manovale si occupava di tagliare e preparare le pietre che poi erano messe in opera dal muratore.
3. Le pietre dovevano essere sistemate in modo tale da risultare ben collegate tra loro. Per i paramenti, le dimensioni delle pietre non dovevano essere inferiori a 20 cm, con le facce regolarizzate a punta e martello in modo da realizzare il migliore combaciamento possibile. La pietra piatta, pertanto, non andava mai sistemata in piedi a facciavista, ma sempre stesa in posizione orizzontale, tale da toccarsi con la pietra sistemata sul lato opposto.
4. Si procedeva per strati. I vuoti tra pietra e pietra erano riempiti con pietre più piccole, briccio e materiale di risulta mescolato a terra. Ogni strato era battuto a lungo con il martello.
5. Le dimensioni tipo delle macere erano di 50-60 cm di larghezza, erano costruite con una battuta o pendenza del 5-10 %, inclinate verso l’interno, per aumentare la stabilità del terreno. Pertanto, le pietre nella parte anteriore erano sistemate leggermente oblique ed in modo da creare delle zeppe precise, la parte posteriore doveva essere, invece, a piombo con i vuoti perfettamente riempiti.
6. Il processo di battitura in una muratura a secco era il più importante, perché il muro per reggersi doveva essere ben assestato.
Utilità della agricoltura eroica e la costruzione e mantenimento dei terrazzamenti
Sappiamo che l’Italia è un paese ad elevato rischio idrogeologico. Le frane e le alluvioni, infatti, sono le calamità naturali che si ripetono con maggior frequenza e causano, dopo i terremoti, il maggiore numero di vittime e di danni. Solo negli ultimi dieci anni sono stati spesi oltre 3,5 miliardi di euro con Ordinanze di Protezione Civile per far fronte a eventi idrogeologici e, secondo quanto riportato nel documento. Il rischio idrogeologico in Italia, redatto dal Ministero dell’Ambiente nel 2008, le aree ad alta criticità idrogeologica da frana e alluvione sul territorio italiano risultano complessivamente pari a 29.517 km2.È anche noto, tuttavia, che le attività agricole e forestali hanno rappresentato, nei secoli scorsi, il principale agente modellatore del territorio italiano, creando, in molti casi, paesaggi di straordinaria bellezza ma al tempo stesso incidendo positivamente su territori spesso naturalmente predisposti a fenomeni di degrado dei suoli e di dissesto idrogeologico. Tali fenomeni sono stati contrastati, nel passato, da specifiche pratiche agricole e silvicole e da una capillare rete di opere di regimazione delle acque e di stabilizzazione dei versanti. Tuttavia, dal dopoguerra in poi, la forte espansione dei centri urbani e lo sviluppo industriale hanno determinato un progressivo abbandono delle attività agro-silvo-pastorali, specie nelle aree di collina e di montagna, con una conseguente riduzione del presidio e della manutenzione delle opere di protezione. La gestione e la manutenzione del territorio montano-collinare, in particolare, rappresentando il 75 per cento dell’intero territorio nazionale, rappresenta un elemento determinate nei confronti del contenimento dei fenomeni franosi e dell’erosione idrica.
Come evidenziato anche dal recente dossier Ispra (Linee guida per la valutazione del dissesto idrogeologico e la sua mitigazione attraverso misure e interventi in campo agricolo e forestale), un ambito territoriale particolarmente importante per le sua funzione di prevenzione dal dissesto idrogeologico è rappresentato dai “terrazzamenti” e cioè da quelle opere caratterizzate da successioni di muretti a secco che modellano i versanti collinari e montani trasformandoli in una successione di terrapieni coltivabili.
Le principali aree terrazzate in Italia si trovano in Liguria, in Valtellina e Val Chiavenna (SO), nella Penisola Amalfitana e Sorrentina, in Cilento, nel Gargano, oltre ad essere diffuse in Calabria e nella Sicilia nordorientale e sud-orientale. Il motivo stesso della creazione dei terrazzamenti, infatti, risiede storicamente sia nella necessità di estendere i terreni adatti alla coltivazione, sia proprio per contrastare i processi erosivi e franosi lungo i versanti più ripidi. Il progressivo abbandono di queste opere ha portato ad una situazione attuale caratterizzata da una pressoché generale carenza o assenza di manutenzione, ad esclusione di pochi esempi di gestione ad uso agricolo ancora attiva, limitatamente ad alcune tipologie di colture specializzate (per lo più vigneti ed oliveti).
Fatto sta che il contributo delle aree terrazzate alla difesa del suolo e al controllo del deflusso delle acque è venuto progressivamente a mancare, ed il recupero della loro manutenzione è divenuto un obiettivo prioritario della lotta al dissesto idrogeologico.
Forse non molti sanno, infatti, che la compromissione della loro funzione, dovuta all’abbandono, rischia addirittura di aggravare i fenomeni di dissesto idrogeologico. La creazione di queste opere, infatti, determina, in termini di regimazione delle acque e sistemazione dei versanti, una sorta di equilibrio artificiale che va a sostituire le dinamiche evolutive naturali. Una volta create queste opere, quindi, risultano preziosissime per contrastare i fenomeni erosivi e le frane, ma devono continuare ad essere gestite e mantenute attraverso un interrotto apporto di materiali ed energia.
In poche parole, una volta realizzati, i terrazzamenti non dovrebbero mai essere abbandonati, pena la rottura di delicati equilibri e l’accelerazione dell’innesco proprio di quei fenomeni che con la loro realizzazione si intendeva contrastare.
Il dato preoccupante, dunque, è che negli ultimi decenni si è assistito al progressivo abbandono delle colture agricole in aree terrazzate, come ad esempio in Liguria, dove il 33 per cento dei terrazzi è stato oggetto di ricolonizzazione da specie arboree o arbustive per lo più spontanee. In molti casi, quindi, l’assenza di una manutenzione costante dei muretti a secco e dei relativi sistemi di drenaggio che caratterizzano i terrazzamenti ha reso spesso i versanti terrazzati ancora più suscettibili all’innesco di fenomeni franosi.
Le principali forme di degrado dei terrazzamenti riguardano, infatti, crolli, deformazioni e traslazioni dei muri di contenimento, sino a fenomeni di collasso delle strutture. In concomitanza di piogge intense, infatti, la spinta idrostatica che si genera per l’imbibizione del terreno, può determinare, in assenza di un efficace sistema di drenaggio, la perdita di stabilità e il crollo dei muri di contenimento con un possibile effetto domino sui muri sottostanti.
Come rimarcato nel citato dossier Ispra, è dunque fondamentale, quindi, specie per quanto riguarda le zone a colture permanenti su versanti terrazzati, assicurare la manutenzione dei muretti e dei ciglionamenti con scarpata inerbita per poter evitare i fenomeni di dissesto e di perdita di suolo. Le principali azioni consistono nella ripulitura dei muretti dalla vegetazione infestante, nel ripristino dei sistemi di drenaggio e del coronamento dei muretti a secco, nell’inerbimento interfilare delle coltivazioni (in genere vigneti e oliveti, ma con consistente presenza di agrumi al sud), nell’inerbimento dei ciglioni dei terrazzamenti, e in alcuni casi, nell’impianto di specie arbustive sempre sulle superfici di bordo.
Va segnalato, tra l’altro, che, in termini di prevenzione del rischio idrogeologico, a livello quantitativo e sulla base degli studi sperimentali effettuati dal Consiglio per la Ricerca in Agricoltura – Cra (Rapporto di applicazione della Condizionalità in Italia, Ministero – Rete Rurale Nazionale 2010), gli interventi di difesa del suolo che consentono il ripristino di un corretto funzionamento dei terrazzamenti riducono l’erosione in un range di circa 10-40 ton/ha/anno, che corrisponde a una riduzione percentuale del fenomeno che va dal 200 al 500 per cento. Il recupero dei terrazzamenti, inoltre, può anche essere associato ad altri vantaggi, specie se in concomitanza di azioni di ripristino/continuazione delle coltivazioni di pregio (Dop e Igp) sulle aree acclivi.
In sintesi, il recupero della manutenzione dei terrazzamenti ad uso agricolo è necessario ed utile, visto che questa azione concorre al raggiungimento di numerosi obiettivi, tra cui il ripristino di attività agricole tradizionali ad alto valore aggiunto; una riduzione dell’erosione del suolo, dei fenomeni franosi e dell’instabilità dei versanti; il miglioramento dell’efficienza idrologica, ecologica e strutturale e la salvaguardia paesaggistica, anche al fine di incrementare le opportunità economiche del territorio attraverso la fruizione turistica e di Noi soci del CAI che abbiamo nel nostro DNA il Rispetto, e la Tutela Ambientale e ci poniamo come sentinella ad ogni decisione e cattivo comportamento che danneggia e deturpa la NATURA e la BIODIVERSITA’.
Escursione aperta anche ai NON soci CAI previa assicurazione presso la Sezione con cui ci si prenota.
Gli Accompagnatori CAI si riservano la facoltà insindacabile di escludere le persone non ritenute adeguatamente allenate e/o insufficientemente equipaggiate e di apportare variazioni al percorso in funzione delle condizioni meteorologiche ed ambientali.
